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Nino Migliori, fotografia sperimentale

Nino Migliori 4' di lettura Senigallia 18/07/2009 - Per meglio analizzare e comprendere l’opera ed i lavoro di Nino Migliori bisogna mettere a fuoco le istanze di modernismo e di legittimità dell’arte contemporanea, non solo fotografia, relegata negli anni ’50, da una consistente parte dell’Accademia, ad un ruolo subalterno nelle questioni dell’arte.

Nino Migliori, siamo agli inizi degli anni ’50, da subito cerca di reagire al lavoro fotografico amatoriale, nel superamento degli estetismi di maniera, così cari alle gerarchie fotografiche, nell’andare oltre i modelli formali -sostenuti dall’estetica crociana- e nel superamento di fotografie para-sociali che intendevano assurgere la realtà quale unico parametro di riferimento, per innalzarla e con essa le proprie fotografie, a chissà quali verità e significati, spesso comodi ed oltremodo opportuni. La figura di Nino Migliori come pochi nel panorama applicativo della fotografia italiana, diventa (come per altri versi il caro e compianto concittadino Mario Giacomelli), un caso della fotografia italiana d’avanguardia.


Migliori sperimenta all’interno dello stesso potenziale del mezzo, con un movimento de- territorializzato, nella direzione della conoscenza, negli ismi della sperimentazione a tutti campo, globale, come operatore estetico, fabbricatore di immagini, massaggiatore e stimolatore del sensorio visivo atrofizzato da perbenismi e banalità codificate da un sottobosco di politica culturale del non fare, insomma del non senso, che affossa le proprie convinzioni a precedenti e precarie conoscenze. Nino Migliori è un fotografo di trasformazione ( Fotografia dall’interno, Ed. Il lavoro Editoriale 2009) perché utilizza le possibilità note ed equivoche del mezzo, aggiungendovi quella parte di manualità che tras-forma la fotografia, quella materia a lui cara. Ecco i pirogrammi,bruciature effettuate sul negativo da stampare,(1948) l’off- camera, la fotografia senza macchina fotografica, senza prospettiva illusionistica, e poi le ossidazioni, i clichés verres, gli ideogrammi e come un libro aperto per anni, i muri. E’ opportuno sottolineare che i legni bruciati di Burri sono del 1956 e le texturologie di Duboffet del 1958; quanto sopra sottolinea l’estrema attualità del lavoro di Migliori nell’ambito delle avanguardie del 20 secolo e pone degli interrogativi sulla necessità di considerare la storia della fotografia italiana contemporanea e i suoi collegamenti con le altre forme espressive.


Nino Migliori un operatore culturale, un artigiano- tecnologo che intuisce le potenzialità del mezzo e marcia nella direzione della possibilità mentale, del progetto, della comunicazione intelligente, in un percorso interagente le forme ed i contenuti innovativi della contemporaneità a cui aggiunge un atteggiamento di sfida, di dinamica del movimento, che ci conduce dentro un’indagine nella stessa natura del mezzo, per portare alla luce i suoi procedimenti attraverso metodi di comparazione critica che cercano l’autorivelazione provocando corto-circuiti tautologici nella immensa corrente di immagini che ci attraversano di continuo. Il suo intervento gestuale, manipolatorio oltre che fornire il senso del suo lavoro, si rivolge all’interno di altre espressioni svolgendo una funzione critica pervasa a volte da una sottile ironia che ne accentua la consistenza.Migliori assegna quindi al suo progetto di fotografia disposizioni operative che tramano interventi espressivi ora erratici ed abbandonati della gestualità, ora controllati e tecnologici della razionalità, palpitanti e ritmici delle pulsioni. Un capitolo a parte riguarda la sperimentazione sulla semiologia dell’immagine: la “significazione” sull’acquaforte di Pietro Fontana sull’”Ecce Homo” del Guercino ( 1635)in cui seconda la summa sintesi di Carlo Arturo Quintavalle:”..Francesco Barbieri il Guercino inventò e dipinse, Francesco Fontana disegnò, Pietro Fontana veneto incise, Nino Migliori trascrisse, tradusse in differenti lingue\". Una ricerca scripto-visiva con la quale produrre sulla stessa immagine più sistemi di comprensione, ribaltando l’idea iconografica in quella testo logica, motivando nell’analisi e disposizione del segno, il significato ed il mutamento.


Se per molti versi e per parte della critica fotografica il fotografo appare saldamente ancorato alla funzione semantica dell’immagine veritiera/verifica, Nino Migliori in linea con Veronesi, Moholy Nagy, Man Ray ed altri analitici, snoda la sua analisi all’interno di quella dialettica di ricerca che si situa -terra di frontiera- tra due poli, quello della referenzialità e dell’autoreferenzialità dell’immagine e del mezzo identificandosi, come ha anticipato Carlo Gentili nel saggio dedicato a Migliori sulla fotografia gestuale, nella volontà di reazione allo stato di semiparalisi della situazione culturale della fotografia italiana. “Sapere e saper fare” sono alla base della sua performance che ha allargato la visuale della conoscenza.






Questo è un comunicato stampa pubblicato il 18-07-2009 alle 13:53 sul giornale del 18 luglio 2009 - 1815 letture

In questo articolo si parla di cultura, fotografia, enzo carli