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culture migranti: Sophia, un momento sbagliato per la Cina

3' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Gutian, o meglio Sophia, come la chiamano tutti, ha lasciato alle spalle un paese con una situazione politica instabile, per venire in Italia dove pensava di avere più opportunità. Nonostante i grossi problemi di lingua, e la distanza culturale e mentale tra Cina e Italia, è riuscita ad accettare la situazione, ed inserirsi nella vita della città.

di Giulia Angeletti


Sophia viene da Nanning, il capoluogo di provincia di Guangxi. Qui aveva un lavoro molto buono come insegnante di matematica, e come assistente di economia all’università. La situazione in Cina però era particolarmente instabile: il governo stava dando avvio a quelle liberalizzazioni, che l’avrebbero portato ad avvicinarsi all’”Occidente”. Il lavoro diventò sempre più insicuro.

Era un periodo faticoso per la Cina, un momento sbagliato. La legge stava cambiando, e il lavoro sembrava sempre più a rischio”. Sophia prende così la strada dell’Italia, e la sorella la segue l’anno dopo. A Milano si trovavano già due loro cugini, e Sophia, dopo una breve sosta a Milano, e una a Roma, arriva presto a Senigallia.

L’ostacolo più grande che le si è presentato subito è stato quello della lingua. “Dopo un anno ancora non parlavo per niente l’italiano. Il cinese non ha il maschile, il femminile, né il singolare e il plurale. I verbi non si declinano, e non ci sono articoli. Tutti pensano che sia una lingua difficile, ma non è così, è molto più difficile e complicato l’italiano, in particolare la pronuncia mi ha creato molte difficoltà”.

Appena arrivata, aveva frequentato un corso di lingua organizzato dall’associazione degli immigrati, ma non le è servito a niente. L’insegnante sapeva 5 lingue, ma non sapeva il cinese. Poi ha seguito dei corsi serali all’alberghiero. “In Cina con una parola sbagliata si può finire anche in galera. Ecco perché molti cinesi che vengono qua hanno paura di sbagliare, e parlano con la bocca chiusa”.

Ora Sophia lavora in una macelleria di pomeriggio, di mattina lavora alla ASL come mediatrice culturale, e di sera tiene dei corsi all’alberghiero. Ogni tanto va anche nella scuola elementare Pascoli ad aiutare i bambini cinesi ad inserirsi meglio. “Non è un lavoro che ti fa guadagnare, ma a me piace. Mi ha aiutata molto soprattutto come mentalità”.

Sophia ci dice che in generale i cinesi che vengono a Senigallia trovano subito lavoro. Ci sono infatti molte fabbriche gestite da cinesi, soprattutto verso il Cesano, che offrono lavoro a quelli che vengono. Il vero problema poi è la casa, perché per restare in Italia, ci vuole il lavoro, ma anche la casa. E il trovare una casa a Senigallia è un problema grosso un po’ per tutti, senigalliesi compresi.

È stato poi difficile accettare le abitudini dell’Italia. Una cosa terribile per un cinese sono le parolacce. In Cina, se una persona insulta un'altra si può chiamare la polizia, e c’è il rischio di finire in prigione. Le donne poi sono trattate con molto più rispetto, e in generale i sentimenti non sono espressi in maniera così diretta.

Tanti cinesi che sono venuti in Italia, hanno oggi la necessità di far studiare la lingua cinese ai loro figli, ma questo è un problema perché non ci sono insegnanti, e locali adatti per organizzare una attività simile.
Sophia spera che in futuro il comune si farà carico di questa esigenza.






Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 15 marzo 2007 - 12148 letture

In questo articolo si parla di immigrati, senigallia multietnica, giulia angeletti

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