la storia ritrovata: Aldo Capitini: Libero religioso e rivoluzionario nonviolento

“Ogni società fino ad oggi è stata oligarchica, cioè governata da pochi, anche se rappresentanti di molti; oggi specialmente, malgrado la diffusione di certi modi detti democratici, il potere (un potere enorme) è in mano a pochi, in ogni Paese. Bisogna, invece, arrivare ad una società di tutti, alla omnicrazia”. Aldo Capitini |
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di Paolo Battisti
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Aldo Capitini nacque a Perugia il 23 dicembre 1899. Fu un intellettuale, un pacifista, un antifascista, e uno tra i primi in Italia a teorizzare e interpretare il pensiero gandhiano.
Nel periodo dell’adolescenza fu pervaso dallo spirito nazionalista ed interventista che permeava l’Italia, al punto che nel 1915 andò a salutare con entusiasmo i soldati che partivano per il fronte. La sua trasformazione ideologica avvenne fra il 1918 ed il 1919, quando abbandonò le idee nazionaliste e considerò la guerra uno strumento inutile per lenire le sofferenze dell’umanità.
In quel periodo cominciò a studiare e apprezzare l’ideologia socialista. Terminato l'istituto tecnico, studiò da autodidatta il latino, il greco ed i testi sacri del cristianesimo. L'intenso sforzo intellettivo gli causò un esaurimento psico-fisico, che non gli permise per lungo tempo di partecipare direttamente al dibattito politico.
Nel 1924, grazie agli studi da autodidatta, conseguì la licenza liceale, che gli permise di iscriversi all’università e di laurearsi quattro anni dopo a pieni voti alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa. In quegli anni stabilì solidi legami d’amicizia con numerosi esponenti antifascisti, e la sua avversione alla dittatura si accentuò in seguito alla firma dei Patti Lateranensi, quando, oltre Mussolini criticò aspramente anche la Chiesa. Egli infatti sosteneva che così facendo la Chiesa avesse legittimato il potere di Mussolini, dimenticando le violenze squadriste e, in tal modo, lo sostenesse, garantendo la sua moralità di fronte alla popolazione che riponeva fiducia nell'istituzione religiosa.
Nello stesso periodo Capitini si avvicinò sempre più alla spiritualità e alla religione pura, studiando le figure di San Francesco, di Cristo, di Buddha. Il personaggio che lo colpì maggiormente fu Gandhi, perché gli riconosceva un grande spirito di tolleranza verso le altre religioni, e perché apprezzava il fatto che accomunasse la sua lotta per la libertà a quella religiosa.
Grazie alle sue capacità, Capitini venne chiamato da Gentile a lavorare alla “Normale” di Pisa, ma, nel 1933, dopo aver rifiutato un “invito” dello stesso Gentile a dotarsi della tessera del Partito Nazionale Fascista, venne allontanato dal suo incarico. Fece ritorno a Perugia, dove sbarcò il lunario impartendo lezioni private e dove riuscì ad approfondire i suoi studi su Gandhi e sulla teoria della non-violenza, diventando al tempo stesso vegetariano. In quegli anni continuò a frequentare esponenti avversi al regime (tra tutti Leone Ginzburg ed Elio Vittorini), e contribuì attivamente alla costituzione di gruppi antifascisti a Firenze e a Roma.
Nel 1937, aiutato da Benedetto Croce, riuscì a pubblicare il suo primo libro, “Elementi di un’esperienza religiosa”, che attirò molti consensi tra gli antifascisti, seppur le sue tesi sulla non-violenza, sulla non-collaborazione e sulla libertà religiosa attirarono le critiche di un nugolo di scettici.
Nel 1940 Capitini, ormai un protagonista dell’antifascismo, promosse gli anti-littoriali (i littoriali erano una specie di Olimpiadi della cultura e dell’arte progettate dal regime fascista), riuscendo ad organizzare numerose riunioni serali alle quali partecipavano molti oppositori del regime.
Nel periodo seguente contribuì a fondare, con il filosofo Guido Calogero, un movimento, il “liberalsocialismo”, che riscosse un notevole consenso. Ma, quando, nel 1943, la maggioranza dei membri del movimento decise di sciogliersi per dar vita ad un partito politico (il Partito d’Azione), Capitini si tirò indietro. E fece questa scelta perché lui preferiva il movimento e perché aveva una visione allargata del potere, che secondo lui doveva partire dal basso, in modo che i partiti (visti come un’oligarchia dominante) dovevano essere ridotti al minimo. Egli infatti considerava il suo liberalsocialismo come un movimento etico-religioso, che, coinvolgendo tutti gli strati sociali, doveva mirare ad un rinnovamento profondo della società.
Nel febbraio del 1942 venne imprigionato per quattro mesi a Firenze; nel maggio 1943 venne nuovamente arrestato (stavolta a Perugia) e venne liberato il 25 luglio.
Dopo la liberazione “parziale” dell’Italia e dopo l’8 settembre gli antifascisti si dedicarono alla lotta armata; Capitini però, contrario all’uso della violenza, non “imbracciò il fucile”, e per sfuggire ai tedeschi si nascose in campagna, dove rimase fino al giorno della liberazione di Perugia, avvenuta il 20 giugno 1944.
Nell’immediato dopoguerra Capitini dovette subire una sorta di ostracismo da parte dei comunisti, che non vedevano di buon occhio chi non si era opposto con tutti i mezzi (e quindi con le armi) nel combattere il nazi-fascismo. Egli comunque aderì al Fronte Democratico Popolare (sigla che racchiudeva i partiti della sinistra) portando avanti le sue idee: ad esempio propose di indire assemblee popolari “non violente e ragionanti” e avanzò la proposta di istituire il servizio civile e di creare il “Ministero per la Pace”. I suoi convincimenti personali, uniti ad un forte senso religioso, lo allontanarono sempre di più da coloro che fino ad allora erano stati i suoi compagni di viaggio. Egli quindi, definendosi un “indipendente di sinistra”, tornò a lavorare all’Università di Pisa, dove continuò a portare avanti le sue tesi sulla non-violenza e sul rinnovamento religioso, organizzando comitati pacifisti di resistenza alla guerra. Nell’ottobre del 1950 Capitini si recò a Roma, dove svolse la relazione introduttiva del primo convegno italiano sui problemi dell’obiezione di coscienza. Nello stesso anno si recò a Londra dove partecipò al Congresso Mondiale delle Religioni per la fondazione della pace.
Nel 1952 contribuì alla nascita dell'Associazione Vegetariana Italiana. In occasione del quarto anniversario della morte di Gandhi (avvenuto nel 1948), organizzò a Perugina un convegno internazionale per la non-violenza, e, al termine dei lavori, costituì un centro di coordinamento internazionale per la non-violenza (e subito dopo fondò il Centro di Orientamento Religioso). Nel 1955 Capitini scrisse un libro, “Religione aperta”, nel quale sintetizzava le idee e le tesi che aveva sempre portato avanti (la Chiesa condannò il libro e ordinò che fosse inserito nell’indice dei testi proibiti). Nello 1956 ottenne una Cattedra all’Università di Cagliari; nel 1959 pubblicò il libro “L’obiezione di coscienza in Italia”. Nel 1961 conobbe Don Milani, e i due nel corso degli anni formarono un sodalizio incentrato sul rispetto, la stima e l’ammirazione reciproca.
All’inizio degli anni sessanta, in un periodo di gravi turbolenze a livello internazionale (la guerra fredda USA-URSS), Capitini organizzò, con il Centro di coordinamento per la non-violenza e con l’aiuto di alcune forze politiche della sinistra, la “Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli”, una “passeggiata” di 24 chilometri tra Perugia ed Assisi, che riscosse sin dal primo anno un successo incredibile. Sull’onda dell’entusiasmo per il risultato raggiunto i partecipanti alla marcia decisero di concretizzare quell’esperienza dando vita alla “Consulta italiana per la pace”, alla cui presidenza venne posto lo stesso Capitini, che divenne anche il segretario del “Movimento non-violento per la pace”.
Tra la moltitudine di cose che lo vedevano impegnato Capitini non dimenticò le sue battaglie a favore dell’obiezione di coscienza, tanto che contribuì a costituire a Roma un Comitato Nazionale che aveva lo scopo dichiarato di ottenere il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza, al quale aderirono numerose personalità e deputati dell’epoca.
Nel 1964 l’instancabile Capitini fondò la rivista “Azione Nonviolenta”, che divenne l’organo ufficiale del Movimento Nonviolento. Nel 1967, dopo aver ottenuto (due anni prima) il trasferimento all’Università di Perugia, pubblicò il libro “Tecniche della nonviolenza”. Il 28 luglio del 1968, diede alle stampe il libro “Le ragioni della nonviolenza”, dove erano formulati tutti i concetti e le teorie che lo avevano fatto diventare un nonviolento, e che fu anche una sorta di suo testamento spirituale, visto che, il 19 ottobre del 1968, a causa dei postumi di un intervento chirurgico, Aldo Capitini morì.
Sulla sua lapide nel cimitero di Perugia Walter Binni scrisse: "Libero religioso e rivoluzionario nonviolento".

Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 22 gennaio 2006 - 9488 letture
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